sabato 5 gennaio 2013

Diario


Crescere nella part Nord occidentale di Cap City, in un orfanotrofio sovraffollato, dove la puzza di sudore si amalgama al tanfo del cibo andato a male, significa starsene ore ed ore ad ascoltare stronzate su come migliorare le proprie buone maniere, mentre ti infili le dita nel naso e biascichi croste di pane raffermo a bocca spalancata. I più sagaci si mettevano in prima fila, di fronte all’ insegnante, sperando che la loro falsa predisposizione all'ascolto venisse premiata con qualche encomio o, almeno, che li esimesse da punitive interrogazioni.

Io avevo scelto una strategia differente,  cercavo la pertica più alta del collegio, e mi sceglievo un posto a sedere proprio dietro a lei. Sono piccola, ma ai tempi ero davvero uno scricciolo incrostato di lerciume, con la testa rasata parevo un piccolo bonzo malnutrito.
Rimanevo immobile, sperando che quell'apparire morta stecchita mi rendesse trasparente agli occhi di chi mi stava attorno, per lo più emeriti stronzi capaci di venderti per ogni minima violazione del regolamento pur di ottenere qualche vantaggio.

La casa di correzione dell’Alleanza avrebbe dovuto essere di stampo cattolico, ma in realtà vigeva la legge del più forte…e del più furbo.  Una sorta di laboratorio nel quale sperimentare gli effetti  della  selezione naturale sull'essere umano.
 Fortunatamente sono ancora qui per raccontarlo, non ho ancora capito se grazie alla mia forza o alla mia furbizia (o  per gentile intercessione di Santa  Cunegonda alla quale mi rivolgevo in lacrime ogni volta che si l’istitutore si accaniva su di me)
Scelsi come amica Sandra Potter, anzi, fu lei a scegliere me. Forse perché parlavo poco e lei invece era un fiume di parole in piena, il mio silenzio le dava l’impressione di avere un orecchio sempre disponibile alle sue rimostranze.
 In realtà non ascoltavo, vegetavo cullandomi sul suono cantilenante della sua voce, mi accorsi presto di non riuscire a prendere sonno senza i suoi logorroici sermoni incentrati sulle mirabolanti e irraggiungibili meraviglie che si trovavano nel mondo oltre le sbarre del Collegio. 
Facevo dei bei sogni, soprattutto perché le meraviglie da lei inventate fino a qualche anno prima le avevo vissute, a differenza della maggioranza delle bambine che si trovavano rinchiuse in quella prigione mascherata da scuola privata.
Aveva dieci anni come me, però, a differenza di me era cicciottella ed aveva delle vere tette. Le labbra le sporgevano, soprattutto quello inferiore,  facendole assumere una strana espressione stranita, aveva un temperamento instabile e focoso, quindi bastava che si incazzasse per qualche cosa perché l’intero dormitorio ne venisse a conoscenza.
 Io facevo il possibile per non lasciarmi coinvolgere nelle sue battaglie personali contro le istituzioni, adottavo la medesima tecnica che utilizzavo durante le lezioni, fingevo di essere morta, o almeno addormentata. A volte mi addossavo al muro, di uno strano colore giallastro camuffandomi in modo camaleontico con la parete. Nonostante al sua esuberanza era amata da tutti, aveva la rara dote che le permetteva di avere rapporti amichevoli con gente di ogni tipo, dalle coglioncelle dell’ultimo anno al personale di servizio. 
Questo mi permise, nonostante il mio mutismo, di crearmi una rete di amicizie ‘salvavita’ che mi permisero di sopportare gli interminabili anni di prigionia.
Non crediate che non abbia dovuto sforzarmi, mi impegnai a  parlare di più, iniziando con quei ‘grazie’ e ‘per favore’ che mi fecero ottenere qualche cucchiaiata di brodaglia in più alla mensa comune.
Se si vuole  sopravvivere bisogna cambiare, e in fretta.  
Mi arruffianai il capo delle inservienti, aiutandola a portar via i sacchi pieni di avanzi e sistemando i vassoi alla fine dei pasti, questo mi permise di accedere alle cucine, e li, iniziò la mia vera carriera da trafficante..

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