Crescere
nella part Nord occidentale di Cap City, in un orfanotrofio sovraffollato, dove
la puzza di sudore si amalgama al tanfo del cibo andato a male, significa
starsene ore ed ore ad ascoltare stronzate su come migliorare le proprie buone
maniere, mentre ti infili le dita nel naso e biascichi croste di pane raffermo
a bocca spalancata. I più sagaci si mettevano in prima fila, di fronte all’ insegnante,
sperando che la loro falsa predisposizione all'ascolto venisse premiata con
qualche encomio o, almeno, che li esimesse da punitive interrogazioni.
Io
avevo scelto una strategia differente, cercavo la pertica più alta del collegio, e mi
sceglievo un posto a sedere proprio dietro a lei. Sono piccola, ma ai tempi ero
davvero uno scricciolo incrostato di lerciume, con la testa rasata parevo un
piccolo bonzo malnutrito.
Rimanevo
immobile, sperando che quell'apparire morta stecchita mi rendesse trasparente
agli occhi di chi mi stava attorno, per lo più emeriti stronzi capaci di
venderti per ogni minima violazione del regolamento pur di ottenere qualche
vantaggio.
La
casa di correzione dell’Alleanza avrebbe dovuto essere di stampo cattolico, ma
in realtà vigeva la legge del più forte…e del più furbo. Una sorta di laboratorio nel quale
sperimentare gli effetti della selezione naturale sull'essere umano.
Fortunatamente
sono ancora qui per raccontarlo, non ho ancora capito se grazie alla mia forza
o alla mia furbizia (o per gentile
intercessione di Santa Cunegonda alla
quale mi rivolgevo in lacrime ogni volta che si l’istitutore si accaniva su di
me)
Scelsi
come amica Sandra Potter, anzi, fu lei a scegliere me. Forse perché parlavo
poco e lei invece era un fiume di parole in piena, il mio silenzio le dava l’impressione
di avere un orecchio sempre disponibile alle sue rimostranze.
In realtà non
ascoltavo, vegetavo cullandomi sul suono cantilenante della sua voce, mi
accorsi presto di non riuscire a prendere sonno senza i suoi logorroici sermoni
incentrati sulle mirabolanti e irraggiungibili meraviglie che si trovavano nel
mondo oltre le sbarre del Collegio.
Facevo dei bei sogni, soprattutto perché le
meraviglie da lei inventate fino a qualche anno prima le avevo vissute, a
differenza della maggioranza delle bambine che si trovavano rinchiuse in quella
prigione mascherata da scuola privata.
Aveva
dieci anni come me, però, a differenza di me era cicciottella ed aveva delle
vere tette. Le labbra le sporgevano, soprattutto quello inferiore, facendole assumere una strana espressione
stranita, aveva un temperamento instabile e focoso, quindi bastava che si incazzasse
per qualche cosa perché l’intero dormitorio ne venisse a conoscenza.
Io facevo
il possibile per non lasciarmi coinvolgere nelle sue battaglie personali contro
le istituzioni, adottavo la medesima tecnica che utilizzavo durante le lezioni,
fingevo di essere morta, o almeno addormentata. A volte mi addossavo al muro,
di uno strano colore giallastro camuffandomi in modo camaleontico con la
parete. Nonostante al sua esuberanza era amata da tutti, aveva la rara dote che
le permetteva di avere rapporti amichevoli con gente di ogni tipo, dalle
coglioncelle dell’ultimo anno al personale di servizio.
Questo mi permise,
nonostante il mio mutismo, di crearmi una rete di amicizie ‘salvavita’ che mi
permisero di sopportare gli interminabili anni di prigionia.
Non
crediate che non abbia dovuto sforzarmi, mi impegnai a parlare di più, iniziando con quei ‘grazie’ e ‘per
favore’ che mi fecero ottenere qualche cucchiaiata di brodaglia in più alla
mensa comune.
Se
si vuole sopravvivere bisogna cambiare,
e in fretta.
Mi
arruffianai il capo delle inservienti, aiutandola a portar via i sacchi pieni
di avanzi e sistemando i vassoi alla fine dei pasti, questo mi permise di
accedere alle cucine, e li, iniziò la mia vera carriera da trafficante..
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