domenica 20 gennaio 2013

I sogni di Bernardo.


Il custode esce dalla casa mentre fiocchi grossi di neve cadono lenti e solenni sulle piante sagomate del giardino; si stringe nel cappotto e chiude la porta rimanendovi all'esterno, per affiggere un cartello nero.

Nella sala principale un numero esiguo di persone parlano sommessamente tra loro.
<Ho sentito che il dottore non ha lasciato niente di ciò che gli apparteneva alla sua ex moglie nè a sua sorella>
Un individuo attempato prende un drink analcolico dal piccolo tavolo.
<Ah, naturale, la signora Cuntor non si è guadagnato il titolo di ex moglie senza merito, dicono che si intrattenesse con giovani ospiti>
<Be' c'è anche da dire che il dottore era diventato insopportabile, a quanto pare la signora non ha avuto altro sfogo che questo>
<Signori, questo è accaduto molto tempo fa, dopo il divorzio hanno mantenuto rapporti tutto sommato civili a quanto mi risulta>
<E tuttavia non le ha lasciato nulla>
Nella sala fa il suo ingresso una donna sulla quarantina vestita alla moda di New London; l'espressione sul viso è stanca.
Tutte le voci tacciono con rapidità; solo il domestico si avvicina alla signora e dona un cenno lieve del capo.
<Signora Cuntor, buonasera>
La donna avanza sola verso la stanza nella quale riposa il dottore; si chiude la porta alle spalle con grave solennità.
Le chiacchiere riprendono non appena tutti i presenti si sono sincerati che la porta si è veramente chiusa.
Il dottor Cooper sta discorrendo con la vecchia collega Shetlan.
<Mi ha parlato delle sue volontà non molto tempo fa, diceva di voler lasciare tutto ad un paio di persone soltanto; ci pensi? Tutti i suoi brevetti…>
<Era un uomo straordinario, dottor Cooper, la conclusione di tutto ciò che lo riguardava non poteva che essere straordinaria>
Fuori dalla casa, fuori dal giardino, nei pressi della cancellata, una donna dai capelli rossi con un lungo trench fuma una sigaretta scrutando l’immensità dei campi verdi innevati.

<Avanti>
Dhemetra apre la porta dello studio del notaio John Williamson: un luogo semplice tutto arredato in legno scuro, con una scrivania e tre sedie di cui una occupata dal notaio e l’altra… Zoya si alza e va incontro alla Laoshi, stringendola in un abbraccio breve ed intenso.
Si scambiano uno sguardo, non hanno bisogno d’altro, poi si siedono entrambe.
Il notaio Williamson è un uomo basso, magro e pulito con un’ampia fronte e profondi occhi verdi.
La lettura del testamento comincia di lì a poco.
<“Io, Bernardo Neemar, in pieno possesso delle facoltà mentali, secondo quanto previsto e concesso dalla legge dell’Alleanza, in presenza del notaio Williamson che funge da testimone ufficiale, dispongo la spartizione delle mie proprietà”>
Un Bloodhound spunta da un angolo dello studio e si dirige verso le tre figure, sedendosi poco lontano dalla scrivania.
Dhemetra lo vede e comincia a singhiozzare piano; il notaio prosegue.
<”La rendita derivata dai brevetti di mia proprietà o coproprietà, la casa su Greenfield a Jesonville ed i terreni ad essa connessi, i conti correnti e tutti i beni se non diversamente specificato in altra documentazione diventano di proprietà di miss Dhemetra Ross e Zoya Vasilyeva. La condizione per accettare l’eredità è la firma dei moduli precompilati di adozione che faranno figurare le due persone citate come figlie adottive. Qualora una delle due non dovesse firmare, tutti i beni andranno all’altra; qualora nessuna delle due dovesse firmare, i beni saranno intestati all’animale domestico Bloodhound Cane, per il suo sostentamento; qualora entrambe dovessero firmare ed accettare dunque la parentela acquisita, potranno godere dei beni in eredità ognuna per il 50%. L’animale domestico Bloodhound Cane sarà anch’esso affidato in cura alle eredi”>
Il notaio prende una pausa e si passa le dita a massaggiare la tempia, poi prende due buste chiuse e le consegna alle due donne presenti.
Cane osserva la scena in silenzio, scodinzola un poco quando Dhemetra e Zoya si alzano dalla scrivania.

Le due donne e Cane si allontanano dallo studio legale; l’animale riceve qualche buffetto durante il cammino ed osserva entrambe, chiedendosi nella sua mente semplice che significato potesse avere una sigla su un pezzo di carta.



domenica 13 gennaio 2013

Diario


Se qualcuno si chiedesse chi era il rettore del Collegio, bhè rimarrebbe deluso. Nessuno lo ha mai saputo, conoscevamo solo l’ultimo ingranaggio del sistema perché aveva a che fare con noi reietti.
Si trattava dei sorveglianti, che vivevano nell’ala dei professori, in mancanza di questi. 
Essi dominavano la nostra intera esistenza, quindi, riuscire ad entrare nelle loro grazie significava garantirsi l’accesso ad una sopravvivenza quantomeno decente.
Rowena, una ragazzina pelle e ossa che bazzicava la mia camerata perché tiravano meno spifferi dato che era rivolta a sudovest, una volta mi raccontò una storia, l’aveva letta in un libro.
-          Idiota, leggi pure quando non ti viene ordinato?-
-          Soprattutto quello che è vietato! –
Nella terra che Fu i sorveglianti dei terreni dei Marajà, non chiedetemi chi siano, lo ignoro tuttora,  venivano chiamati mayvhà, cioè sfaticati, indolenti, sbruffoni. Proprio la descrizione dei nostri aguzzini. Sempre pronti a riversare sulle nostre povere schiene il lavoro che non volevano svolgere. Con i secoli questo termine diede vita alla parola Mafia e non ho bisogno di dare ulteriori spiegazioni.
Anyway, il problema maggiore in un complesso scolastico iperaffollato e saturo di monnezza è lo smaltimento dei rifiuti. La raccolta e il conseguente accatastamento. Non perché sia impossibile ma perché è compito ingrato e degradante.
Offrirsi di farlo al posto dei sorveglianti mi fece guadagnare un posto rilevante nella piramide alimentare del complesso.
Spesso mi ricompensavano con piccoli regali: un paio di sigarette, del cioccolato…
All’inizio consumavo quei beni avidamente, ma poi, riflettendo, pensai fosse meglio barattarli. Trovai un luogo sicuro dove custodirli e poterli offrire in cambio di favori.
Per provare la mia teoria chiesi a Sandra se fosse disposta a fermarsi al pomeriggio per pulire le aule, in cambio le avrei dato una sigaretta.
Disse di si, fu la mia prima adepta.
A questo punto dovrei raccontarvi qualcosa sulla manipolazione che è l’ossessione della maggioranza dei criminali.
Avete mai pensato a come i papponi riescano a procacciarsi le ragazze? Non è facile.
Pensate ad un aspirante protettore, vuole metter su un giro ma non può certo ingaggiare delle professioniste, quelle che sono sul mercato hanno già un protettore. Così, raccatta la prima tipa tonta che gli capita a tiro, magari ingenua, ben disposta. Il tipo la corteggia come se ne andasse della sua stessa vita, le promette amore eterno. Poi, un giorno le dice ha bisogno di denaro, che si è messo nei guai ed un suo amico sarebbe disposto a coprirgli il debito se lei fosse disposta a sganciargliela.
Una sola volta, sottolinea. Quando lei ha accettato lui deve solo fingersi schifato per il suo comportamento, rovinarla di botte e riempirla di bloom per farle passare il dolore. Da qui a diventare una tossica il passo è breve,  per avere una dose sarà costretta a battere per sempre per lui. A questo punto il nostro aspirante allarga il pollaio passando alla pulzella numero due.
Questo è il sistema sofisticato, io usai quello base, rudimentale ma sempre efficace.
In collegio, come in galera, la strategia standard consiste nel prestare una sigaretta alla tua compagna di letto, per poi barattarla in cambio di ogni bene primario. E quando dico ‘barattarla’ intendo proprio alla lettera.
In poco tempo creai un meccanismo implacabile, reclutai diverse ragazze con lo stesso sistema che avevo usato con Sandra inglobandole in quella che pareva un efficacissima macchina da guerra a moto perpetuo.
Pareva…

sabato 5 gennaio 2013

Diario


Crescere nella part Nord occidentale di Cap City, in un orfanotrofio sovraffollato, dove la puzza di sudore si amalgama al tanfo del cibo andato a male, significa starsene ore ed ore ad ascoltare stronzate su come migliorare le proprie buone maniere, mentre ti infili le dita nel naso e biascichi croste di pane raffermo a bocca spalancata. I più sagaci si mettevano in prima fila, di fronte all’ insegnante, sperando che la loro falsa predisposizione all'ascolto venisse premiata con qualche encomio o, almeno, che li esimesse da punitive interrogazioni.

Io avevo scelto una strategia differente,  cercavo la pertica più alta del collegio, e mi sceglievo un posto a sedere proprio dietro a lei. Sono piccola, ma ai tempi ero davvero uno scricciolo incrostato di lerciume, con la testa rasata parevo un piccolo bonzo malnutrito.
Rimanevo immobile, sperando che quell'apparire morta stecchita mi rendesse trasparente agli occhi di chi mi stava attorno, per lo più emeriti stronzi capaci di venderti per ogni minima violazione del regolamento pur di ottenere qualche vantaggio.

La casa di correzione dell’Alleanza avrebbe dovuto essere di stampo cattolico, ma in realtà vigeva la legge del più forte…e del più furbo.  Una sorta di laboratorio nel quale sperimentare gli effetti  della  selezione naturale sull'essere umano.
 Fortunatamente sono ancora qui per raccontarlo, non ho ancora capito se grazie alla mia forza o alla mia furbizia (o  per gentile intercessione di Santa  Cunegonda alla quale mi rivolgevo in lacrime ogni volta che si l’istitutore si accaniva su di me)
Scelsi come amica Sandra Potter, anzi, fu lei a scegliere me. Forse perché parlavo poco e lei invece era un fiume di parole in piena, il mio silenzio le dava l’impressione di avere un orecchio sempre disponibile alle sue rimostranze.
 In realtà non ascoltavo, vegetavo cullandomi sul suono cantilenante della sua voce, mi accorsi presto di non riuscire a prendere sonno senza i suoi logorroici sermoni incentrati sulle mirabolanti e irraggiungibili meraviglie che si trovavano nel mondo oltre le sbarre del Collegio. 
Facevo dei bei sogni, soprattutto perché le meraviglie da lei inventate fino a qualche anno prima le avevo vissute, a differenza della maggioranza delle bambine che si trovavano rinchiuse in quella prigione mascherata da scuola privata.
Aveva dieci anni come me, però, a differenza di me era cicciottella ed aveva delle vere tette. Le labbra le sporgevano, soprattutto quello inferiore,  facendole assumere una strana espressione stranita, aveva un temperamento instabile e focoso, quindi bastava che si incazzasse per qualche cosa perché l’intero dormitorio ne venisse a conoscenza.
 Io facevo il possibile per non lasciarmi coinvolgere nelle sue battaglie personali contro le istituzioni, adottavo la medesima tecnica che utilizzavo durante le lezioni, fingevo di essere morta, o almeno addormentata. A volte mi addossavo al muro, di uno strano colore giallastro camuffandomi in modo camaleontico con la parete. Nonostante al sua esuberanza era amata da tutti, aveva la rara dote che le permetteva di avere rapporti amichevoli con gente di ogni tipo, dalle coglioncelle dell’ultimo anno al personale di servizio. 
Questo mi permise, nonostante il mio mutismo, di crearmi una rete di amicizie ‘salvavita’ che mi permisero di sopportare gli interminabili anni di prigionia.
Non crediate che non abbia dovuto sforzarmi, mi impegnai a  parlare di più, iniziando con quei ‘grazie’ e ‘per favore’ che mi fecero ottenere qualche cucchiaiata di brodaglia in più alla mensa comune.
Se si vuole  sopravvivere bisogna cambiare, e in fretta.  
Mi arruffianai il capo delle inservienti, aiutandola a portar via i sacchi pieni di avanzi e sistemando i vassoi alla fine dei pasti, questo mi permise di accedere alle cucine, e li, iniziò la mia vera carriera da trafficante..